Con “Non sono quello che sono“, Edoardo Leo si misura con una delle opere più potenti e tragiche della letteratura mondiale: “Otello” di William Shakespeare. Ambientando la vicenda nei primi anni Duemila e utilizzando i dialetti romanesco e napoletano, il regista e attore romano non solo reinterpreta il testo, ma lo traghetta nel presente, illuminandone la sconcertante attualità. Il risultato è un’opera cinematografica che esplora con profondità questioni legate al patriarcato, alla violenza di genere e al maschilismo, temi purtroppo ancora radicati nella nostra società.
“Non sono quello che sono“, uscito il 14 novembre 2024, è stato presentato in anteprima al Locarno Film Festival, dove ha ricevuto applausi per la fedeltà al testo originale e per l’intensità con cui il linguaggio dialettale restituisce la forza delle emozioni shakespeariane. Al centro della storia, come nell’originale, ci sono Iago, Otello e Desdemona, interpretati rispettivamente da Edoardo Leo, Javad Moraqib e Ambrosia Caldarelli. Nel cast, anche Antonia Truppo, Matteo Olivetti e Michael Schermi.
L’Otello come specchio del presente
Shakespeare scrisse “Otello” nel 1604, ma la sua capacità di scandagliare i lati più oscuri dell’animo umano rende questa tragedia sorprendentemente moderna. L’opera ruota intorno al male, alla gelosia e all’inganno, incarnati da Iago, il subdolo manipolatore che guida Otello alla rovina. Nonostante “Non sono quello che sono” sia ambientato nel 2001, la narrazione mantiene la struttura originale ma la colloca in un contesto quotidiano, dove i protagonisti parlano dialetti popolari. È una scelta che, come spiega il regista, restituisce “la forza del linguaggio” e avvicina lo spettatore alla realtà dei personaggi.
Secondo Leo, “Otello” non è solo una storia d’amore e gelosia, ma anche il racconto di un femminicidio. “Viene chiamata la Tragedia di Otello”, ma dovrebbe essere intitolata “la Tragedia di Desdemona” afferma il regista, sottolineando come l’opera racconti, con spietata lucidità, le dinamiche del patriarcato e della violenza contro le donne. “Questa tragedia parla ancora di noi, dei crimini che leggiamo ogni giorno sui giornali,” aggiunge Leo, rimarcando l’attualità dei temi affrontati.
Il patriarcato al centro della tragedia
Uno degli aspetti più innovativi della versione di Leo è la riflessione sul patriarcato e sulle sue implicazioni nella narrazione di “Otello”. Tradizionalmente interpretata come una tragedia della gelosia, l’opera viene rielaborata qui come una critica alle strutture di potere e alle relazioni di genere. La gelosia di Otello non è solo una passione incontrollata, ma il risultato di un sistema culturale che permette e giustifica il controllo e la violenza sull’altro.
“Ho cercato di eliminare la pietas che spesso accompagna il personaggio di Otello nelle traduzioni,” spiega Leo. “Non è una vittima del troppo amore, ma un carnefice, responsabile della morte di Desdemona. Viviamo in un momento storico in cui è fondamentale riconoscere questo aspetto.”
Il femminicidio come fulcro della narrazione
In un’epoca in cui la violenza contro le donne è al centro del dibattito pubblico, “Non sono quello che sono” offre un’occasione per riflettere su questi temi attraverso l’arte. Il film di Leo evidenzia come la tragedia di Desdemona sia il risultato di una cultura patriarcale che permette e perpetua la violenza di genere. I personaggi di Iago e Otello non sono solo individui corrotti, ma simboli di un sistema che legittima il controllo e la sopraffazione.
Leo ha discusso ampiamente questi temi durante un tour di masterclass nelle università italiane, dove ha incontrato studenti e studentesse per parlare di Shakespeare e del suo adattamento. “Gli studenti sono molto più interessati di quanto immaginiamo,” racconta. “Hanno una profonda consapevolezza dei temi di cui parliamo e, allo stesso tempo, una grande preoccupazione per il futuro.” Durante questi incontri, il regista ha esplorato non solo gli aspetti letterari del testo, ma anche le sue implicazioni sociali e culturali, invitando i giovani a riflettere sul maschilismo e sul patriarcato che ancora permeano la nostra società.
La forza del dialetto: una traduzione senza compromessi
La fedeltà al testo originale di Shakespeare è una delle sfide centrali affrontate da Edoardo Leo. Il regista ha intrapreso un lungo lavoro di traduzione, durato anni, per mantenere intatto il significato delle parole del Bardo. “Non ho modificato nulla del testo, tranne i tagli necessari,” spiega. Tuttavia, anziché utilizzare l’italiano standard, Leo ha scelto di tradurre il testo in dialetto romanesco e napoletano, una decisione che conferisce a “Non sono quello che sono” un’identità unica.
“La forza dei dialetti sta nella loro capacità di rappresentare la realtà in modo diretto e immediato,” afferma Leo. Questa scelta linguistica non solo rende più accessibile il testo, ma ne esalta la potenza emotiva, creando un contrasto stridente tra la crudezza delle parole e la profondità dei temi trattati. Il dialetto diventa così un ponte tra il pubblico contemporaneo e un’opera scritta più di 400 anni fa, dimostrando come la letteratura possa trascendere le barriere linguistiche e culturali.
Una tragedia senza tempo, un film per il presente
“Non sono quello che sono” si distingue non solo per la qualità artistica, ma anche per la sua capacità di stimolare una riflessione critica su temi fondamentali. La scelta di Edoardo Leo di mantenere intatta la struttura dell’opera di Shakespeare, pur trasportandola in un contesto contemporaneo, dimostra come la letteratura possa essere uno strumento potente per analizzare la realtà. Questa trasposizione cinematografica è un invito a confrontarci con le ombre del nostro tempo. È un’opera che dimostra come la letteratura possa ancora offrirci risposte e porci domande, mettendo a nudo le dinamiche che ci definiscono come individui e come società.